50 anni e non dimostrarli. Nasceva esattamente mezzo secolo fa, dalla vendemmia 1961 la Schiava Fass Nr 9, la botte Nr 9. Un marchio entrato nel mito dell’enologia tedesca, inventata, un po’ per caso e un po’ per tigna a Cornaiano dal Kellermeister Hartmut Spitaler. Nei giorni scorsi la cantina ha reso omaggio al suo vino forse più celebre che ha rappresentato in Alto Adige uno dei primi tentativi riusciti di fare un vino che si distinguesse dalla massa e che avesse delle qualità superiori ai prodotti convenzionali. Erano gli anni 60. Ancora non esistevano le Doc, “e il vino era – come ha ricordato lo stesso Hartmut Spitaler, in pensione ma sempre attivo nella cantina di Cornaiano – un alimento, doveva essere, quindi, disponibile in abbondanza e costare poco.” Le annate di quel periodo erano sovente pessime con autunni piovosi e estate secche, Il 1961 non si distingueva particolarmente. Fu allora che il Kellermeister pretese che almeno una parcella del vino della cantina fosse un po’ più buono degli altri. Prese i grappoli dagli acini più piccoli e maturi e li fece vinificare in una botte distinta. Nel Fass Nr9 appunto. Da cui poi il vino prese il nome e nonostante lo scetticismo iniziale piacque e si fece pagare molto più del resto. Il marchio rimase e la filosofia di produrre buon vino puntando alla qualità invece che alla quantità cominciò a farsi strada anche in Alto Adige e soprattutto fra i suoi viticoltori. Con i suoi 202 soci che coltivano 220 ettari la cantina di Cornaiano infatti uno delle maggiori produttori in Alto Adige. Certamente una delle più antiche. La produzione tradizionalmente rossista vede oggi affiancare alle etichette storiche un buon numero di vini bianchi che il nuovo Kellermeister Gerhard Kofler sta portando alla ribalta nazionale. Anche qui sui colli che annunciano i paesaggi vitati dell’oltradige la cantina ha subito un profondo restyling. Le vecchie cantine del 600 anche se ancora in uso sono state affiancate da moderni ambienti alimentati da energia rinnovabile, il fotovoltaico in particolare (con un potenziale dichiarato del 90 percento del fabbisogno), e studiati per la produzione di vini di qualità partendo dai locali di conferimento a quelli della pigidiraspatura morbida, fino ad un complicato sistema i tubazioni che distribuisce mosto e vino ai vari tini di fermentazione e alle botti di affinamento. Investimenti che solo negli ultimi anni sono ammontati a circa 6 milioni di euro. Nella degustazione seguita alla presentazione della cantina sono state stappate 10 bottiglie di annate di schiava fino al 1976 che hanno dimostrato ancora una volata la capacità di tenuta di questo vino e le sue indubbie qualità enoiche. L’obbiettivo è di conservarle e con esse una tradizione che in questo antico paese vinicolo affondano nella notte dei tempi e prometto di durare ancora a lungo.